Viktor Korniyenko CC

La terra in Nepal continua a tremare, migliaia sono i feriti e oltre 8.000 i morti. Mentre la terra scuote le anime fragili di chi ha perso tutto, gli aiuti sembrano non bastare mai.

ASIA è presente in Nepal dal 1996 e ha un ufficio con personale espatriato e locale.

Questa è la testimonianza di Isabella Bracco, project manager di ASIA che si trovava a Kathmandu il 25 aprile:

“Era sabato verso mezzogiorno. Io e la mia famiglia eravamo stati a fare la spesa e stavamo tornando verso casa camminando per Lazimpat. Poi ho un buco di tre secondi nella memoria, e vedo mio marito, che ha la bimba “grande” sulle spalle, correre in mezzo alla strada e girarsi per guardare me che spingevo la carrozzina con il piccolo, Poi un altro buco, ma sono per terra, davanti alla carrozzina, la afferro e guardo in alto per vedere se il palazzo vicino sta venendo giù. Riesco ad afferrare mio figlio e correre al centro della strada, ma trema tutto. No, non trema, oscilla. La terra, i palazzi, la gente che grida. E c’è un grande e lungo boato. Ci aspettavamo crollasse tutto.”

Cit. da intervista a Famiglia Cristiana del 10 maggio 2015






 

Il 30 aprile Andrea Dell’Angelo, il Direttore di ASIA, e il Responsabile del progetti sono partiti per Kathmandu, per pianificare e coordinare gli interventi di soccorso. Qui di seguito alcune righe tratte dal blog di viaggio pubblicato sull’Huffington Post: “Dopo alcuni giorni di meeting, cluster su shelters, WASH, food eccetera, decidiamo di andare a Baluwa, nel distretto di Kavre, dove ASIA lavora da molti anni con progetti di Water and Sanitation…”




Il rappresentante del WSC (Water System Commitee) ci viene incontro, ha gli occhi lucidi e ci dice che tutto questo è un disastro. Cosa? Non capiamo pensando che forse stava esagerando. Ci accompagna al ward n. 5 del VDC (Village Development Committee). Ci avviciniamo camminando e ad ogni passo la visuale ci si apre su uno scenario apocalittico. E’ la fotografia di ogni disgrazia, di ogni guerra e di ogni catastrofe naturale... Qualcosa al quale purtroppo siamo tutti abituati. La fotografia lontana diventa sempre più vicina e inizia a diventare reale. Case squarciate, macerie, macerie, macerie. Bambini nudi e sporchi escono da tende improvvisate. Guizzi di vita quotidiana emergono dalle macerie e dai ventri aperti delle case di mattoni e fango; sacchi di riso, scarpe, pentole, radio e tanto altro. Camminiamo in questo mondo distrutto, in una rappresentazione bucolica post-atomica. Il nostro accompagnatore ci indica case distrutte, ci racconta storie, ci parla di morti e di vivi. Spesso l’odore degli animali in decomposizione è insopportabile, qualcuno di noi tossisce e altri sono presi da conati. Brividi, tristezza misti a speranza. Molte famiglie si stanno già dando da fare per costruirsi un riparo per la stagione dei monsoni. Chiediamo se hanno bisogno di cibo, di acqua di medicinali o di qualsiasi altra cosa. Siamo in cerchio e tanti abitanti del villaggio che si sono uniti a noi nel tour della paura, parlano e cercano di raccontare, di spiegare come stanno le cose di come vivono e di come vivranno. Alla nostra richiesta ci rispondono che vorrebbero qualcosa che gli dia la possibilità di resistere fino a settembre quando le piogge finiranno e potranno così andare avanti, ricostruire”.

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